I luoghi della vita, 1999/2000

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un progetto e cura di Vittoria Ciolini e Margherita Verdi

/ Sede: ‘La Cartaia’ di Vaiano, Via Fratelli Buricchi 13, Vaiano, Prato
/ Date: 8 aprile – 7 maggio 2000
/ Iniziativa biennale promossa e patrocinata da Regione Toscana, Provincia di Prato e Comune di Vaiano

ENGLISH BELOW

I lavori selezionati per la mostra I luoghi della vita (comprese le fotografie di Karen Brett, vincitrice del premio Europeo donne fotografe) esprimono |intenso interesse delle artiste per il personale, per le esperienze del quotidiano che trascendono l’ordinario. Guardano la vita delle donne da una prospettiva agorafobica, di una figlia che osserva Ia vita di famiglia disintegrarsi in un guazzabuglio di abusi e d’ingiurie mentali. La serie di Karen Brett sull’agorafobia va oltre l’immagine documentaria e coglie oggetti la cui normalità è sopraffatta da un terrore fobico e che diventano simboli minacciosi della vastità dell’esterno.
ll libro di Anna Fox, My Mother’s Cupboards and My Father’s Words mostra fotografie di luoghi puliti e innocenti in cui è presente l’invettiva e la violenza di un uomo anziano.
Negli studi di Erika Barahona Ede sugli interni deserti della casa di sua nonna, nei paesi Baschi del territorio spagnolo, compaiono ricordi d’infanzia rivisitati con la consapevolezza che la casa sarà presto demolita. Le sue fotografie propongono interni in bianco e nero e primi piani di fragile carta da parati: “muri verdi con piccole foglie bianche…muri grigi con motivi di palme grigio verde più scuro”. Nelle sue immagini, i motivi, la melanconia e il senso di perdita sono sempre presenti: un divano spezzato, un candelabro che pende da un soffitto pieno di crepe con macchie di umidità e la presenza inquietante di fantasmi del passato.
Un altro tipo di interno domestico appare nelle foto a colori di Nina Schmitz che ritrae camere da letto di donne che lavorano nei quartieri a luce rosse delle città tedesche. Le foto della Schmitz potrebbero essere considerate puramente documentarie, ma sono qualcosa di più perché diventano un viaggio strettamente personale in cui l’esotico e l’ordinario creano una perfetta amalgama.
Sabine Bungert immortala le aspirazioni delle ragazze adolescenti che posano con un nuovo vestito da pattinaggio; Wiebke Leister esamina attentamente e da vicino la strana topografia della faccia umana, mentre Heather McDonough crea un collage di stampe che diventa una mappa dell’esperienza.
Con modalità molto diverse fra loro queste fotografe parlano di esperienze e situazioni che toccano tutti noi, ponendo domande, facendo dichiarazioni, esprimendo il potere dell’immagine fotografica per farci guardare il mondo più da vicino e per vedere dentro i mondi degli altri.
Val Williams

 

ENGLISH VERSION

The bodies of work chosen for inclusion in the Places of Life exhibition (including the photographs of Karen Brett, winner of the Women’s Photography Prize) express an intense interest in the personal, in everyday experiences which transcend the ordinary. They look women’s lives from the perspective of an agoraphobic, from a daughter who watches family life disintegrate in a welter of invective and mental abuse. Karen Brett’s series on agoraphobia goes beyond the documentary, and fixes on objects whose normality is overwhelmed by the phobic’s terror, and which become menacing symbols of the enormity of the outdoors.
Ann Fox’s artist’s book My Mother’s Cupboards and My Father’s Words shows photographs of clean, innocent places ranged alongside an elderly man’s invective and violence.
In Erika Barahona Ede’s study of the deserted interiors of her grandmother’s house, in the Basque region of Spain, childhood memories are revisited, in the knowledge that th house is soon to be demolished. She photographs the interiors in black and white and makes close-up studies of fragile wallpaper: “green walls with small white leaves… grey walls with a darker grey-blue palm pattern”. Throughout the series, motifs and melancholy and loss are always present, a splintered sofa, a chandelier hanging from a cracked and mottled ceiling, ghosts from the past retaining an eerie presence.
Another kind of domestic interior appears in Nina Schmitz’ series of colour photographs of the bedrooms of women working in the red light areas of German cities. Schmitz’ photographs could be called purely documentary, but they are more than that, becoming a highly personal journey through an amalgam of exotica and the ordinary.
Sabine Bungert studies the aspirations of adolescent girls as they pose in a new skating dress, Wiebke Leister looks closely at the strange topography of the human face, while Heather McDonough makes a multi print assemblage which becomes a map of experience.
In their own very differing ways, these photographers touch on experiences and situations which affect us all, asking questions, making statements, expressing the power of the photographic image to make us look at the world more closely, to see into other people’s worlds.
Val Williams

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