Manuale per autostoppisti dell’arte. Progetto di educazione alla comunicazione visiva.

a cura di Lorenzo Bruni

/ Sede: Dryphoto arte contemporanea, via Pugliesi 23 e Monash Univesity Prato Centre (Palazzo Vai), Prato
/ Date: 29 aprile – 20 settembre 2009
/ Organizzazione: Dryphoto arte contemporanea
/ evento promosso da: Comune e Assessorato alla cultura e alle Politiche, Giovanili, Officina Giovani- Cantieri Culturali, Dryphoto arte contemporanea, Prato
/ in collaborazione con Art&Design Faculty Exhibition della Monash University

Corso di orientamento alle attuali tendenze artistiche e aggiornamento per le istruzioni all’uso pubblico attraverso una sequenza di mostre. Lo spazio di relazione in città e l’archivio, sono i due concetti intorno al quale si sono sviluppati i laboratori e le discussioni coordinate da Lorenzo Bruni e le mostre da lui curate che si sono alternate negli spazi di Dryphoto arte contemporanea.

Il progetto, ideato e seguito da Lorenzo Bruni, ha previsto 4 lezioni teoriche sulle pratiche curatoriali, sulle attuali tendenze artistiche e su come vengono comunicate o messe in pratica; 2 laboratori, uno rivolto ai giovani che vogliono concentrarsi sulla pratica curatoriale e organizzativa di eventi e l’altro a giovani artisti; un incontro rivolto a tutti i partecipanti con l’artista Cesare Pietroiusti.

I risultati, interventi, azioni, performance, installazioni realizzati dai partecipanti al laboratorio sono stati concepiti con l’intento di modificare la percezione dello spazio di Palazzo Vai in occasione del convegno “Archive/Counter-Archive” organizzato da Art&Design Faculty Exhibition della Monash Univesity e hanno dato vita alla mostra finale del laboratorio dal 9 al 16 luglio.

Il 10 luglio, all’interno del convegno, Lorenzo Bruni è intervenuto affrontando il tema dell’archivio rispetto ai risultati raggiunti durante il corso e rispetto al lavoro portato avanti dall’artista Rossella Biscotti, che nell’occasione ha presentato i suoi ultimi progetti e ricerche artistiche.

Le mostre ospitate all’interno dello spazio di Dryphoto arte contemporanea, presentano opere in dialogo tra  loro per una riflessione sulla natura dell’immagine e sulla sua veridicità, su come viene percepita e condivisa. Infatti, tutte le immagini adesso sono vere o false e quindi l’unica cosa che le rende concrete è il tipo di fruizione da parte dello spettatore. Per mettere in evidenza questo, gli artisti in mostra non privilegiano solo lo spazio rappresentato nelle loro foto ma anche lo spazio che le accoglie e che in qualche modo andranno ad illuminare e a vivere in maniera differente. Queste immagini non rappresentano un punto di arrivo ma il mezzo per tendere all’evocazione di una narrazione collettiva e personale che non si vuol limitare solo alla semplice documentazione del reale.
Un ciclo di mostre che fornisce una risposta parziale ma concreta ai temi affrontati nel corso/laboratorio Manuale per autostoppisti dell’arte. Progetto di educazione alla comunicazione visiva e una prima mappatura delle giovani energie presenti sul territorio. Questa formula aperta, rispetto all’idea di mostra episodica chiusa in sé, rispecchia l’idea di rendere permeabile e spazio aperto per incontri il luogo di Dryphoto.

 

/ Avevamo un appuntamento ma io sarò in ritardo
/ a cura di Lorenzo Bruni
/ Sede: Dryphoto arte contemporanea, via Pugliesi 23 Prato
/ Date: 29 aprile – 9 maggio 2009
/ Artisti: Giorgia Accorsi, Silvia Bongianni, Vittorio Cavallini, Irina Kholodnaya

Le opere presenti in Avevamo un appuntamento ma io sarò in ritardo  sono un  tentativo non di rappresentazione ma di evocazione del movimento di un dato soggetto  e ne testimoniano il suo transito come l’auto e la luna nell’opera di Vittorio Cavallini, le auto nella discarica di Irina Kholodnaya, le cicche e i bicchieri di Silvia Bongianni, le mani dei due personaggi del video di Giorgia Accorsi. Il corpo del soggetto in queste fotografie quasi si fa rarefatto e proprio per quello viene maggiormente evocato e chiamato in causa. La fotografia di tipo urbano (dalla sua nascita) da sempre rappresenta anche persone in transito per le strade, le quali però risultano ferme e statiche come congelate in quel dato istante temporale già passato. La domanda inconscia che emerge dall’associazione delle opere in mostra riguarda come sia possibile rappresentare questo camminare, questo andare, questo desiderio di viaggiare delle persone che in solitudine attraversano lo spazio urbano e non. La risposta avviene ponendo l’attenzione sul dialogo tra spazio rappresentato nelle immagini e spettatore. Questa chiave di lettura parziale non vuole imbrigliare le opere in una unica visione di significato ma si propone come stimolo di discussione all’interno delle lezioni del laboratorio.

Giorgia Accorsi (Latina, Italia, 1977. Vive e lavora a Roma). Le parole non dicono mai quello che voglio, 2007, video, 4’30’’. Il video alterna l’immagine fissa di due sordomuti che parlano attraverso il linguaggio dei segni. Mentre il dialogo tra i due si fa più concitato e i gesti delle mani sono monumentalizzati da un breve rallentamento lo spettatore si rende conto di e ssere l’unico testimone e depositario di questo tentativo di comunicazione poiché le due persone si trovano in due luoghi differenti e sono messe in relazione solo attraverso il particolare montaggio video.

Silvia Bongianni (Firenze, Italia, 1975. Vive e lavora a Firenze). Blast, 2005-2008, serie di stampe lambda a colori su cibachrome, cm 30×50. Questa serie di fotografie rimanda a luoghi differenti del mondo accomunati dallo sguardo dell’artista caratterizzato da un sentimento di estraniamento misto a stupore. L’opera 14 febbraio 2009 è composta da 4 singoli frammenti di fotografie e rimanda al tentativo di rendere più istanti compresenti: la metamorfosi della sposa e i movimenti di lei e attorno a lei nel giorno del suo matrimonio.

Vittorio Cavallini (Lucca, Italia, 1973. Vive e lavora a San Miniato). Un mese, 2008, stampa fotografica in bianco e nero, cm 23,8×17,6 e video su monitor. L’associazione tra la piccola stampa della luna e il video documentativo dell’auto dell’artista, lasciata in una cava per un mese, rimanda alla nuova condizione e percezione del mondo da parte dell’artista, che per la durata di un mese si è dovuto muovere senza automobile.

Irina Kholodnaya (Voronezh, Russia, 1985. Vive, studia e lavora a Firenze). Forma, 2006, dittico, stampa digitale in cornice d’argento, 30×40 cm. Le due fotografie presentano parti di un corpo di una giovane ragazza al sole. Lo sguardo vertiginosamente ravvicinato sul soggetto rende la dimensione autovoyeuristica una dimensione astratta fatta di pure forme. L’approccio di tipo astratto geometrico che rende le opere dell’artista evocative e oggettive allo stesso tempo lo ritroviamo anche nella sequenza lanterna anche se in questo caso viene approfondito il rapporto tra ritmo e ripetizione.

/ Mi ricordo di noi
/ a cura di Lorenzo Bruni
/ Sede: Dryphoto arte contemporanea, via Pugliesi 23 Prato
/ Date: 21 maggio – 7 giugno 2009
/Artisti: Gabriele De Santis, Raffaele Luongo, Osvaldo Sanviti, Felice Serreli

Le opere presenti in Mi ricordo di noi ruotano attorno all’idea di identità. Chi sono? cosa vedo? Chi ero quando ho incontrato quelle date persone in quello specifico luogo? O meglio chi volevo essere quando mi sono trovato in quella situazione? La fotografia d’epoca con il volto annerito sul muro da un accendino di Gabriele De Santis, il dittico con i disegni di Felice Serreli che si sviluppano attorno al nastro adesivo applicato sulla superficie, il libro di immagini di Osvaldo Sanviti di soggetti ripresi in solitudine, che osservati uno dopo l’altro riconquistano una dimensione corale inaspettata e perduta, il video di Raffaele Luongo sul come ripensare l’arte e come metterla in pratica nella propria intimità,pongono una domanda inconscia che emerge dalla loro associazione nella mostra e riguarda la domanda sul peso della memoria collettiva/personale e su come reagiamo ad essa. Proprio partendo da questa domanda gli artisti hanno proposto opere che indagano il concetto di traccia e hanno il potere di evocare un messaggio e un desiderio di dialogo e di scoperta dell’altro simile a sé. Come per la prima collettiva, anche in questo caso, la risposta avviene ponendo l’attenzione sul dialogo tra lo spazio rappresentato, le immagini e lo spettatore. Questa chiave di lettura parziale non vuole imbrigliare le opere in una sola visione di significato ma proporsi come stimolo di discussione all’interno delle lezioni del laboratorio.

Gabriele De Santis (Roma, Italia, 1983. Vive e lavora a Roma). Senza titolo, 2007, video. Il video consiste in un movimento lento sulla superficie di fotografie d’epoca di ritratti di gruppo le cui facce sono invisibili poiché non cancellate ma come asportate. Questo non è un atto malinconico che esprime il problema generale della perdita di memoria collettiva, ma un mettere in evidenza le situazioni che si vivono con gli altri e la necessità di desiderarne altre. L’altra opera di De Santis consiste in un trapano che sospeso nel vuoto continua a funzionare senza creare nessun effetto, negando così la sua funzione. All’estremità della punta c’è un foglio che gira su se stesso e porta su di sè una lettera, scritta a mano, che si mostra ma non si dona del tutto al nostro sguardo.

Raffaele Luongo (Caracas, Venezuela, 1966. Vive e lavora tra Napoli e Firenze). Raffaele e l’arte contemporanea, 2003, video. Immagini di capolavori dell’arte sfrecciano di fronte a noi. Perché quelle opere? Perché esposte in quel modo? Le domande sul ruolo del museo, sul senso dell’associazione di particolari opere d’arte e sull’allestimento vengono risolte dall’artista nella costruzione della sua personale classifica di opere d’arte nel luogo asettico di un bagno piastrellato. Questo mondo personale viene condiviso con gli “altri” e la fruizione viene permessa dal movimento concitato di una macchina giocattolo elettrica con la videocamera montata sopra.

Osvaldo Sanviti (Nato a Pistoia, vive e lavora a Firenze). Drumming, 2009, serie di stampe inkjet a colori, cm 21×29. L’immagine è quella di un ragazzo che suona la batteria che, preso dalla concitazione dei movimenti, ci mostra, nel reclinare la testa, solo la sua capigliatura. Il contesto diviene quel gesto di eterna ribellione e indice di giovinezza. La sequenza è composta da una serie di quattro fotografie che ripropongono la stessa immagine, una polaroid trovata su inernet, che perde colore e nitidezza via via che viene stampata e scansionata nuovamente. Le immagini sembrano tutte uguali e tutte diverse come il ruolo impersonato dal ragazzo ritratto.

Felice Serreli (1974, Cagliari, Italia. Vive e lavora a Milano). 4Mhz, 2006, stampa fotografica cm 40×65 e video. La fotografia è quella di un cubo di polistirolo consumato negli angoli. L’oggetto galleggia su un fondo neutro come se si mostrasse al mondo per la prima volta. Vicino alla fotografia si trova un video, 4Mhz, in cui un uomo in giacca e cravatta, l’artista stesso, corre trascinando con sé proprio quel cubo di polistirolo, che rappresenta niente altro che la sua memoria.

/ Invocare Istanti
/ a cura di Lorenzo Bruni
/ Sede: Dryphoto arte contemporanea, via Pugliesi 23 Prato
/ Date: 10 luglio – 20 settembre 2009
/Artisti: Stefania Balestri, T-Yong Chung, Michelangelo Consani, Yuki Ichihashi, Diego Tonus

Le opere presenti in Invocare Istanti ruotano attorno all’idea catalogazione. Catalogare cosa, perché e soprattutto per chi? La risposta che forniscono gli artisti riguarda il tentativo di riattivare memorie passate rendendole dei mezzi per una riflessone sul presente. Proprio come degli strumenti con cui confrontarsi con il mondo possono essere letti il tavolo con la sequenza di variazioni di colle che implodono su loro stesse di Diego Tonus, i dadi con le immagini di vari mezzi di locomozione di T-Yong Chung, l’immagine di una festa di minatori della fine dell’800 ripresa da internet di Michelangelo Consani, le immagini di interni/esterni di case reali/immaginarie che ritornano con le opere di Stefania Balestri e le fotografie di “entità” differenti incontrate per caso nell’arco temporale di un giorno di Yuki Ichihashi. Le loro opere sono dei mezzi per rileggere dei mondi ma anche per immaginarne degli altri. Questi mondi però non stanno solo nel campo delle idee ma hanno una loro concretezza e possibilità di inveramento. La fotografia della festa dei minatori di un’altra epoca di Michelangelo Consani è visibile come screensaver sul computer (ricordando oggi che gli archivi sono contenitori immateriali in rete) ma ottiene una concretezza particolare attraverso gli inviti stampati per la festa diffusi in vari spazi della città. La diaproezione di Yuki Ichihashi rende permanente l’immagine dell’artista stessa che si affaccia da una finestra all’interno del luogo della Dryphoto. L’archivio di gesti e di sculture di Diego Tonus acquista una dimensione particolare integrato con un tavolo progettato appositamente per la nuova funzione. Il video di T-Yong Chung crea permette un atmosfera di drammatizzazione attraverso il modo di osservare i passanti dalla sua finestra di casa facendo sembrare tutto un video games. Le fotografie di frammenti di una storia poetica divengono veri solo nella nova composizione fotografica per Stefania Balestri. Come per le altre mostre collettive anche in questo caso la risposta avviene ponendo l’attenzione sul dialogo tra lo spazio rappresentato nelle immagini e lo spettatore. Questa chiave di lettura parziale non vuole imbrigliare le opere in una sola visione di significato ma proporsi come stimolo di discussione all’interno delle lezioni del laboratorio.