Piazza dell’Immaginario / MLZ . Una modalità di lavoro. Città Come Cultura

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Usciva esattamente un anno fa la pubblicazione  Città Come Cultura. Processi di sviluppo, Edizioni MAXXI, 2019 una mappatura di esperienze e progetti culturali per il territorio in cui si parla anche di Dryphoto. La pubblicazione contiene un intervento di Vittoria Ciolini in cui si racconta il contesto nel quale è nata Piazza dell’Immaginario, a cura di Alba Braza, e delle azioni scaturite intorno a questa esperienza.

Abbiamo deciso di pubblicarlo per intero sul nostro portale, in un momento in cui esperienze come quelle di Piazza dell’Immaginario sono quanto mai attuali.

Vittoria Ciolini – Dryphoto arte contemporanea
Piazza dell’Immaginario / MLZ
Una modalità di lavoro
Un progetto a cura di Alba Braza. Organizzazione Dryphoto arte contemporanea

È ormai di conoscenza internazionale il fenomeno della migrazione di origine cinese che coinvolge la città di Prato; cresciuto in maniera esponenziale dai primi anni novanta fino a tre anni fa, ora si è stabilizzato intorno alle ventimila unità (20.695), più del doppio se si considerano i non regolari, su una città di poco meno di duecentomila abitanti (193.325).[1]
A differenza di altre immigrazioni quella cinese ha una dimensione prevalentemente familiare e si muove all’interno di una diaspora composta da numerose comunità stabilmente presenti sul territorio europeo e dotate di una forte capacità di inserimento economico.
Il ruolo della famiglia, intesa nell’accezione più ampia del termine, e i legami esistenti tra i cinesi d’oltremare residenti in differenti realtà europee condizionano fortemente le dinamiche migratorie del gruppo, che appare caratterizzato anche da un’elevata mobilità.
Il fatto che i movimenti migratori non siano solo in entrata nella città, ma anche in uscita da essa, rende difficili le politiche d’inclusione perché quasi la metà dei nuovi residenti è in transito e difficilmente manifesta una certa affettività nei confronti del territorio che abita.
La maggior parte dei nuovi cittadini di origine cinese abita nella zona del Macrolotto Zero, dove  ha sede il nostro spazio, e la massima concentrazione si ha in via Pistoiese denominata  dalla comunità via della Cina: nel quartiere gli autoctoni residenti sono meno del 20%, si tratta di un quartiere interamente edificato, abbandonato a se stesso per oltre venti anni, e con un solo giardino, che è anche l’unico spazio pubblico esistente.

La scommessa degli amministratori locali contro il degrado, l’evasione fiscale e la microcriminalità in questa zona, è la trasformazione dell’area in un distretto creativo attraverso l’attuazione di un piano strutturale urbanistico che realizzi interventi di edilizia pubblica; sono infatti previste a brevissimo tempo operazioni cospicue di riqualificazione, con la costruzione di una media library, un mercato coperto, un playground e altri servizi.

In questo processo ha avuto un peso non secondario il nostro progetto Piazza dell’Immaginario che ha mostrato una strada possibile di cambiamento per questa area.

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Piazza dell’Immaginario [2] nasce nel 2014 dalla pratica dell’ascolto del quartiere che abitiamo, dalla necessità di spazi di relazione, dalla convinzione che l’arte appartiene alla vita e che dobbiamo consentire alle persone di essere parte di processi di creazione condivisi di senso e di significato.

Piazza dell’Immaginario è un progetto che nasce dal bisogno di migliorare uno dei quartieri della città di Prato. Un miglioramento che richiede una riflessione urgente su uno spazio dove sono condensati, in una piccola superficie, un’ampia diversità di culture, ambienti socioeconomici, interessi e necessità [3].

L’intervento continua dando un nome, un titolo, che è allo stesso tempo un toponimo e prosegue ripulendo pareti, collocando panchine e piantando dei fiori, fino ad arrivare a stabilire una comunicazione fra le persone che abitano il quartiere, superando le barriere che si sono erette nella quotidianità, proponendo un modello di ascolto basato sull’impossibilità di trovare un unico e corretto modo di soluzione. Lo strumento che Piazza dell’Immaginario usa è di nuovo l’arte.
Interrogarsi sull’immaginario che abbiamo della cultura orientale, su quello che gli orientali hanno di quella occidentale, sull’immaginario che abbiamo della migrazione, come pensiamo le realtà altrui e come le immagini confermano queste realtà in un momento determinato, sono alcune delle sfide. Giorgio Agamben, rispondendo ad alcune domande intorno alle immagini e al tempo, durante un’intervista per il quotidiano El País, mostrava il suo interesse a capire la funzione della immaginazione, ‘cosa fa l’uomo quando immagina. Non sappiamo cosa accade, come si scatena questo processo, quello che conosciamo, perché molti artisti, pensatori e cineasti del XX secolo lo hanno capito, è che le immagini vivono. Dobbiamo capire la loro temporalità, la loro vita. In più, il pensiero o il linguaggio, è quello che alla fine definisce la facoltà dell’uomo di produrre immagini’ [4].
Usare le pareti, che oggi sono i muri della discordia fra chi ha dispiacere che siano usate come un caotico elenco telefonico e fra coloro che gradirebbero fossero curate, come spazio espositivo, aggiungere il colore rosso come segno di rispetto e integrazione bidirezionale, non solo cambierà quello che immaginiamo accada nella piazza ma aprirà nuove possibilità d’immaginarla e ricordarla. Consapevoli di muoverci nei limiti della cosiddetta arte pubblica, immaginiamo una ‘città convivenziale’ come descritta da Malcom Miles, con delle strategie che possono stabilire un rapporto fra arte e sostenibilità urbana e lavoriamo per sviluppare un nostro empowerment, una strategia di convivenza in una società dove persone di diversa razza e classe e di entrambi generi, convivono senza il predominio di un gruppo sopra l’altro.[5] E com`è in questo caso, la messa in moto di Piazza dell’Immaginario è stata uno sviluppo partecipativo di pianificazione che ha permesso ai residenti di codeterminare il design della loro città e gli usi dello spazio urbano (…)
Piazza dell’Immaginario punta direttamente a creare, come scrisse Karl Marx, un interstizio sociale, per dare vita ad uno spazio dove i rapporti umani suggeriscono possibilità di scambio diverse da quelle vigenti imposte dal sistema, dove i concetti consumo e pubblico sono sostituiti da persone, passanti e cittadini. Proponiamo di decategorizzare i pregiudizi che si sono formati su questo spazio pubblico per dare precedenza ai rapporti umani come un altro modo di ottenere ugualmente un ritorno politico, economico e sociale. La questione rimane ancora aperta: può l’arte essere un mezzo, che non soltanto materializzi le idee che abbiamo esposto, ma che con le sue proprie leggi sociali e con autonomia possa adottare un proprio modello di lavoro e migliorare un ambiente sociale determinato?” [6]
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Veduta della piazza, zona via Fabio Filzi 39, Prato Sul muro: R.E.P. Revolutionary Experimental Space, Patriotism. Hymn, 2007. Stampa su PVC, cm. 140 x 120 e cm. 120 x 140 Pantani-Surace, La responsabilità dei cieli e delle altezze, 2014. Linoleumgrafia su carta, 3 elementi cm 150 x 150 cad.
Veduta della piazza, zona via Pistoiese 142/146, Prato Sul muro: Bleda y Rosa, Burriana, dalla serie Campos de fútbol, 1993. Stampa su PVC
Dopo il successo della prima edizione ci siamo sentiti addosso una grande responsabilità: saremmo stati capaci di non deludere le aspettative che avevamo creato, attivare forze che autonomamente contribuissero a promuovere azioni in grado di agire alla radice dei problemi uscendo dalla protesta immediata e superficiale, saremmo riusciti a mantenere quello che avevamo costruito e andare avanti?
La risposta è stata una seconda edizione, frutto di un lavoro costante di informazione e comunicazione con gli abitanti del quartiere che vivono nella zona interessata dal progetto.
Un lavoro che ha sempre messo al centro la relazione e che ci ha costretti a continue mediazioni.

Una pratica di lavoro ben descritta da Luisa Muraro in questo brano di un’intervista rilasciata a Gianna Mazzini e Marina Marrazzi: “Con la pratica politica fra donne, io ho notato che le cose più feconde ed efficaci, quelle cioè che non si lasciano azzerare nello scontro fra potere e contro potere, vengono con una politica intesa invece come un ‘intensificare le relazioni’ per rendere possibile altro. ‘Un altro mondo è possibile’ (che è lo slogan dei no-global) mi è congeniale, con la sola differenza che l’altro mondo possibile – io sostengo – è già qui, ma spesso imprigionato nella nostra povertà simbolica. Praticare la politica come un intensificare le mediazioni tra sé e sé, tra sé e le altre, tra sé e l’altro, porterà a trovare le mediazioni necessarie, e farà sì che dal reale si sprigioni il di più, quello che è possibile grazie al fatto che c’è un’intensità delle mediazioni. Perché la politica si impoverisce quando le mediazioni sono di bassa intensità, quando sono meccaniche e, peggio ancora, assicurate dai rapporti di potere.” [7]

La volontà di privilegiare e implementare le relazioni ci ha portato e ci porta alla ricerca e alla inclusione di soggetti attivi, singoli, gruppi, associazioni che hanno desiderio di impegnarsi per migliorare il proprio quartiere.

Nel 2015 è stata chiamata, per sostenere il progetto di design e arredo della nuova Piazza, un’associazione di nuova costituzione con sede nel quartiere, nata con l’intento di studiare e approfondire tematiche legate alla cultura, l’associazione [chì-na].

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Le frasi di Francis Alÿs, artista invitato insieme ad altri, nell’edizione del 2015,  sono diventate il nostro slogan: “Quello che mi piacerebbe è che le persone sentissero, anche se per qualche minuto, che esiste una possibilità di cambiamento. Anche se fosse assurdo, poetico o ludico”.

Mentre nel 2014 le opere tutte insieme hanno delimitato il profilo di Piazza dell’Immaginario, denominando un’area, un parcheggio privato ad uso pubblico (luogo di conflitto fra vecchi e nuovi cittadini) nel 2015 abbiamo creato  una vera e propria piazza, a circa duecento metri dalla prima location in uno spazio privato abbandonato all’incuria e al degrado, un parcheggio non usato di un supermercato. Le opere si sono aggiunte a quelle del primo sito e ne hanno delimitato un secondo, Piazza 5 marzo 2015[8], diventata immediatamente punto di riferimento degli abitanti del quartiere e luogo per l’organizzazione di eventi, manifestazioni e ritrovo durante la pausa pranzo. Tutte le opere installate sono permanenti e nel 2016 [9] hanno fatto da cornice ad alcuni eventi temporanei.

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Nel corso di questi anni, durante i quali abbiamo studiato, ci siamo confrontati con professionisti di vari settori, organizzato un convengo dal titolo Immaginare le Chinatown – Letteratura della diaspora, fatto interviste, attivato progetti di alternanza scuola lavoro con studenti di origine cinese dell’Istituto d’Istruzione Superiore Carlo Livi, discusso con  gli abitanti, usufruito dei servizi esistenti nel quartiere, beneficiato del bando interprovinciale Linea 6 (progetto dedicato alle persone sopra i sessanta anni senza lavoro e ammortizzatori sociali), partecipato a incontri, chat, attivato sinergie fra enti e associazioni, confrontati con esperienze simili. [10]  Insomma si è creato un bel movimento di energie. Ma questo processo che porta in sé una grande potenzialità va incontro anche a una serie di pericoli.
Le nostre buone intenzioni e le opere, le azioni degli artisti possono essere indirettamente un  catalizzatore di speculazioni immobiliari. Il concetto di riqualificazione di queste zone può consistere nel renderle sempre meno accessibili a chi ci viveva, per trasformarle in quartieri vetrina,  industrie del divertimento, attrazione turistica. Talvolta il lavoro fatto può servire solo ad aumentare il valore economico dei beni del privato. Quando il ricambio sociale non accade in maniera spontanea, ma viene deciso a tavolino investendo su una zona, per la sua riqualificazione, si rischia di provocare un allontanamento coatto delle classi originarie che ci abitano.

Talvolta dobbiamo dire no, rompere gli schemi, capire quello che non viene espresso o deliberatamente taciuto, sapere che possiamo cambiare la percezione e la realtà di quello che viviamo. Le modalità di attuazione che mettiamo in atto a volte sono più importanti del risultato auspicato e, anche se talvolta occorre fare un ritiro tattico, è importante essere consapevoli che si tratta solo di un ritiro, mentre i principi fondamentali sono quelli che dobbiamo tenere a mente. Per questo abbiamo continuato a lavorare con la stessa modalità su un nuovo progetto nel quartiere: “MLZ / via delle Segherie / inner code”. [11]

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Elenco artisti e opere

Anno 2014
Installazioni permanenti e azioni
Bleda y Rosa, Burriana, dalla serie Campos de fútbol, 1993
Andrea Abati, Borgo San Lorenzo, dalla serie La Forza della Natura, 2014
R.E.P. Revolutionary Experimental Space, Patriotism. Hymn, 2007
Gabriele Basilico, dalla serie Dancing in Emilia, 1978
Pantani-Surace, La responsabilità dei cieli e delle altezze, 2014 (azione)

Anno 2015
Installazioni permanenti
Francis Alÿs, Paradox of the Praxis I (Sometimes Doing Something Leads to Nothing), 1997
Olivo Barbieri, Mantova, 1980
Andrea Abati, Giardino Melampo, Prato, 2012/2013
Bianco-Valente, Come il vento, 2015
Pantani-Surace, La responsabilità dei cieli e delle altezze, 2014
Bert Theis, Growing House, 2004

Anno 2016
Installazioni temporanee e azioni
Flavia Bucci, Colourful Dreams, 2016 (azione)
Francesca Catastini, Avaki, 2016
Lori Lako, Instead of cursing the Darkness, 2016
Linda Motta, La misura dell’immaginario, 2016

Anno 2017
MLZ / via delle Segherie

a cura di Alba Braza
Anaisa Franco, Onirical Fluctuations, 2013
Valentina Lapolla,Taffetà, 2017; È un piacere parlare con te, Pollicina, 2017

MLZ / inner code

a cura di Chiara Ruberti e Luca Carradori                     
Giulia di Michele, Locus Duplex, 2017
Elena Mazzi / Sara Tirelli, A Fragmented World, 2016
Lori Lako, A carica piena il tuo cammino si illuminerà per 8 ore / One fully charged your path will shine for 6 hours, 2017

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Note

[1]          –  dati Comune di Prato, 2017
[2]          – https://www.dryphoto.it/new/piazza-dellimmaginario-2014
[3]         – Censimento anno 2013 del comune di Prato. Popolazione totale 191.424 abitanti di cui 13,5% stranieri. Percentuale superiore alla media regionale (8,8%) e nazionale (6,8%). Il 58,3% degli stranieri proviene dall’Asia, il 28,9% dall’Europa, il 10,2% dall’Africa, il 2,5% dall’America, lo 0,02% dall’Oceania. Nel 2012 il tasso di disoccupazione fu del 7%, superiore agli anni precedenti, ma inferiore al livello regionale (7,8%) e nazionale (10,7%).
[4]          – J. A. Rojo, Entrevista a Giorgio Agamben. El estado de excepción es hoy la norma, “El País”, 3 febbraio 2004.
[5]          – M. Miles, Ciudades convivenciales, in AA.VV., Interferències. Context local>espais reals. Barcelona: Visions de Futur. 2002, pp. 158-168.
[6]          – A. Braza, Piazza dell’Immaginario, catalogo della mostra, Dryphoto arte contemporanea, Prato 2014.
[7]         – Ripartiamo dalla differenza, in Buddismo e società, N. 9, 2002.
[8]          –  https://www.dryphoto.it/new/piazza-dellimmaginario-2015
[9]          –  https://www.dryphoto.it/new/piazza-dellimmaginario-2016
[10]          – https://www.dryphoto.it/new/2017/piazza-dellimmaginario-edizione-2017-presentazione-del-libro-fight-   specific-isola
[11]        – https://issuu.com/dryphotoartecontemporanea/docs/mlz_viadellesegherie_innercode_issu